Red Worms’ Farm

“Something more VS Something better”

La teoria di Brian Eno è decisamente nota, nel mondo musicale: “chiunque abbia comprato The Velvet Underground & Nico ha poi formato una band”. Se è vero quanto detto – ed è verissimo – è altrettanto sicuro che chiunque abbia visto i Fugazi dal vivo abbia poi deciso perlomeno di provarci. È quanto accaduto a Marco Martin e Pierre Canali, due ragazzi di Padova già seguaci della band di Washington. Dopo aver assistito ad un loro concerto allo storico CSO Pedro, decidono che è il momento di esprimersi e raccontarsi attraverso delle “canzoni”. È la fine degli anni Novanta, i trapper non hanno ancora sostituito i calciatori nell’immaginario collettivo e i locali sono ancora il posto dove si costruisce la musica dal basso. Quello è un tipo di mondo in cui, se sei un tipo intraprendente, può anche succedere che Ian McKaye finisca a dormire nel tuo salotto, oppure che la tua band finisca per diventare una delle più importanti del circuito e addirittura da molti definita la miglior band live italiana.

Riavvolgiamo il nastro. Marco e Pierre incontrano Matteo Di Lucca, batterista, e Dodi, bassista. Individuano un posto in una zona un po’ periferica di Padova – “Troncomorto”, laddove un binario della ferrovia andava a morire – una piccola porzione di casa a schiera, perfetta per trovarsi a suonare: più Padania Classic di così, niente; lo chiameranno il “Covo”. Dodi non dura molto in formazione: “Three is the Magic Number”. Il nome lo scelgono in pura cazzonaggine dopo aver ricevuto durante il periodo universitario una catena di Sant’ Antonio postale. Offresi salette prove a pagamento, per prenotare serve il nome della band: ed ecco Red Worms’ Farm. Cosa voglia dire ancora, nessuno l’ha capito bene. Chiamateli vermi, se vi sono amici.

Suonare hardcore significa anzitutto partecipare a un rito collettivo ma non di massa, entrare in un network. La scienza ci dice che il sottobosco è d’altronde un buon posto per i Vermi, e quello padovano ha il sapore di casa: Nicola Olivieri, la Casa dei Diritti di via Tonzig, il Tube a Limena e il CPO Gramigna di via Lungargine sono persone e luoghi fondamentali per la storia della band. Il primo disco è altrettanto casalingo, registrato al “Covo” da Giulio Ragno Favero, chitarrista dei One Dimensional Man e maître à penser, e poi uscito per la Halley Records, etichetta degli storici Infranti che finanziano l’operazione.

Un taglio che acceca, un tocco che eccita, uno spessore ansiogeno.
(Recensione a “s/t”, Rockit, 2001)

Stabilito il contesto, l’urgenza e anche una sana incoscienza, inizia l’avventura Red Worms’ Farm. Ed inizia nella sola maniera possibile per le band dell’epoca: suonando in giro, ovunque, a qualsiasi costo, in realtà ideologicamente affini e molto intense, tra l’hardcore e l’indie (non quello di oggi). È un periodo in cui l’amicizia e la comune visione del mondo sono cosa più importante della professionalità intesa in senso accademico. Si gira per conoscere persone, perché è giusto così. I Red Worms’ Farm incontrano Tiziano Sgarbi e la scena di San Martino Spino e Finale Emilia, l’Acquaragia e i primi super Festival delle Valli. Entrano nella famiglia. Il loro secondo disco si chiama “Troncomorto”, esce nel 2002 – per la Fooltribe, anche se totalmente autofinanziato – registrato sempre con Giulio a Senigallia.

Il network è sempre più esteso, band che si riconoscono e conoscono. Nella scena sono quasi tutti musicisti o agitatori: a Pesaro gli Sprinzi, a Torino Andrea Pomini, Jacopo di Alice dischi, a Milano Mirco Spino e la Wallace, a Trento la fanzine Equilibrio Precario di Stefano… Una rete nazionale, certo, ma anche internazionale: i Red Worms’ Farm, come gran parte delle band dell’epoca, hanno un sound decisamente esterofilo e cercano un continuo confronto con piccole e grandi proposte straniere, soprattutto americane, considerate a torto sempre migliori. La lezione degli Uzeda – che da Catania erano riusciti a conquistare la Touch And Go di Chicago (l’etichetta di “Spiderland” degli Slint) – risuona forte e chiara. I Vermi coronano un piccolo sogno e pubblicano uno split EP con i rinomati The Paper Chase, band americana fautrice di un noise/avantjazz di tutto rispetto. Delle registrazioni si occupano Manuele Fusaroli e Gigi al Natural HeadQuarter di Ferrara, dove Giorgio Canali – detto “lo zio di Pierre” perché portatore sano dello stesso cognome – e i Tre allegri ragazzi morti usano bazzicare spesso. La copertina la disegna Alessandro Baronciani degli Altro. È il 2004.

Nessuna esitazione, nessuno sconforto, nessun momento di stallo. Due chitarre e batteria. Nient’altro da dichiarare, grazie.
(Recensione ad “Amazing”, Rockit, 2005)

Il terzo disco si intitola “Amazing”, esce nel 2005. È un periodo denso di concerti in Italia e in Europa, in questa bolla che sta però piano piano per sgonfiarsi. Internet sta ribaltando il tavolo, apre e chiude nuovi scenari. La discografia tradizionale crolla e nuovi modelli stanno piano piano cercando e trovando il loro spazio. Molti musicisti non hanno più vent’anni e hanno capito che forse possono provare a campare di musica. Questo implica fare delle scelte. I Red Worms’ Farm, a torto o a ragione, decidono di rimanere marginali. Non ne vogliono fare una professione. Il quarto disco “Cane Gorilla Serpente”, completamente autofinanziato, arriva nel 2008. Le agenzie si sono sostituite al passaparola ma i ragazzi si affidano ancora una volta ad un amico: Gianluca Gobbo, DeStijl Concerti prima e Pentagon Booking poi.

I Red Worms’ Farm sono i mister no di tutto. Chiedere loro di accettare un codice significa non conoscerne la ritrosia al compromesso, qualunque esso sia.
(Recensione ad Against, Rockit, 2013)

Nato con un parto lungo e travagliato e poco suonato dal vivo, “Against” (2013) è l’ultimo disco ufficiale della band. I cinque anni che lo dividono da “Cane Gorilla Serpente” sono l’apice e la lenta fine del gruppo. Molti concerti in situazioni intime ma anche palchi grandi o locali medio-grossi sono il lascito di questa ultima cavalcata. Il mercato live cambia, così come i gusti del pubblico. Un’avventura nata in maniera spontanea ed incosciente si chiude nella stessa maniera. La vita spinge per qualcosa di diverso. Ora Pierre Canali vive a Londra, mentre Marco Martin e Matteo Di Lucca in qualche modo continuano in “direzione ostinata e contraria” a gestire la voglia espressivo-musicale con un altro progetto, assieme a un altro veterano della scena padovana Renato Benin e ad Alessio Zago: Halley DNA.

A otto anni di distanza, La Tempesta Dischi decide di rendere disponibile nel mondo digitale l’intero catalogo di Red Worms’ Farm: sette opere musicali da ascoltare con al stessa voglia di spaccare tutto che si aveva da giovani, come se non ci fosse un domani. Qualcosa di meglio, non qualcosa in più.

 

Carlo Pastore

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